Si potrà tornare indietro nel tempo e rivivere non solo i drammi della Seconda guerra mondiale culminati con le persecuzioni razziali, ma anche la crisi post bellica con centinaia di cittadini di nuovo in viaggio verso mondi lontani in cerca di fortuna.
Storie di uomini e di donne. Ritratti di sofferenza, coraggio e voglia di riscatto. Vite di ebrei internati, di soldati ed emigrati, ma anche di lavoratori, come gli scalpellini, negli anni della ricostruzione. Racconti di imprese, gesti di eroismo e di solidarietà della popolazione locale.
Tutto questo è il museo del Novecento e della Shoah, nella sede dell’ex Municipio. Non un luogo scelto a caso. È lì, infatti, in quelle stanze, che tra il 1943 e il 1944, ai tempi del podestà Marini cinque dipendenti comunali, rischiando grosso, falsificavano i documenti d’identità degli ebrei internati in paese per cercare di salvarli dalla deportazione nei lager nazisti.
La trovata, portata avanti con audacia, consentì a diversi di loro di evitare la cattura e la morte; per altri, invece, andò diversamente e vennero trasferiti ad Auschwitz. E in un angolo della struttura è stato ricreato l’ufficio, con tanto di scrivania, archivio, macchina da scrivere, dove lavoravano quegli impiegati.
San Donato è stato il comune del Lazio a ospitare il più alto numero di ebrei confinati. I primi giunsero nell’estate 1940. Tra le internate Margaret Bloch, amica e confidente di Kafka, e Grete Berger, attrice del cinema muto internazionale.